giovedì 22 dicembre 2011

Tango inesorabile. Una quasicinquantenne alle prese con la passione amorosa, di Syusy Blady

Nota al grande pubblico televisivo per trasmissioni di successo come ad esempio Turisti per caso e Velisti per caso, la conduttrice televisiva, regista, attrice e cabarettista Syusy Blady sceglie il tango come ambientazione del suo romanzo d’esordio. Il libro tratteggia le vicende di Germana, donna di fantasia che l’autrice presenta come specchio di se stessa: è un percorso introspettivo nella vita di una dona italiana, ex barricadiera, esponente di quella generazione che “ha fatto tutte le rivoluzioni” la quale attraversa una fase della vita dove né la famiglia, né la raggiunta sicurezza economica, né la realizzazione professionale sono sufficienti a metterla al riparo da un momento di crisi e di disorientamento.
La ricerca della propria liberazione fa quindi da motore narrativo delineando una serie di situazioni che vedono Germana al fianco di altre figure femminili, presentate di volta in volta come alleate, confidenti o rivali nella conquista. Il tutto è collocato in una palpabile atmosfera di politicamente corretto con sottili rimandi all’ambiente bolognese, animata da un corteggio di comprimari quali terapisti di coppia che hanno divorziato tre volte, amanti, gay bisessuali in cerca d’amore, “maschi diffettati” che si palesano come milongueri pieni di complessi.

Le questioni affrontate riguardano temi non banali come il significato del proprio stare al mondo, l’equilibrio fra passione e ragione, il diritto/dovere di reinventarsi con il tempo, la possibilità di far evolvere i sentimenti come spazio di libertà nella cornice dei rapporti di coppia, la ricerca dell’amore oppure il senso ultimo dei propri sforzi, il tutto interpretato da un punto di vista al femminile usando le differenze di genere come possibile chiave di lettura.
Le risposte purtroppo appaiono deludenti, tanto sul piano della forma che della sostanza.
Sul piano della forma, il romanzo ha una trama piuttosto esile, spesso poco più che il pretesto per una sorta di diario interiore che trascrive emozioni e sentimenti della protagoniste alle prese con le vicende narrate. L’originalissima idea finisce pervenir rovinata nel giro di poche pagine da un atteggiamento comunemente indicato con l’espressione mentalizzare. Il verbo denota il comportamento di chi non vive in modo spontaneo e naturale il sentimento verso un’altra persona, bensì lo analizza con la ragione. Invece di lasciar liberamente fluire le emozioni, sperimentando l’arricchimento che esse possono donare, le si passa al setaccio della ragione mettendole sotto la lente del giudizio o costruendovi un sovrasenso che è completamente intellettuale. Non ci si domanda semplicemente se si è felici o meno, bensì ci si logora inutilmente chiedendosi se la relazione corrisponda o meno alla propria idea preordinata di rapporto ideale, in che misura in nostro partner coincida con modello che ci siamo costruiti negli anni, in cosa somigli o non somigli a precedenti rapporti, magari cercando di incasellare la storia in categorie, oppure tenendo una meticolosa contabilità dei sentimenti con colonne distinte per il dare e per l’avere.
Certo, applicare un briciolo di giudizio è un realistico indice di maturità e poi alzi la mano chi non ha mai pensato “Sarà un disastro perché ha l’ascendente scorpione”, oppure ha involontariamente visto nel partner il riflesso di una persona sgradita. Io stesso mi metto nel mucchio.
Il problema è che qui la mentalizzazione è semplicemente diluviale. Dopo qualche pagina si finisce travolti da un cicaleccio inconsistente, sgradevole come tutto ciò che tratta futilità come fossero questioni degne della più seria considerazione.

Sul piano dei contenuti, le risposte offerte al lettore sono solo verità ‘piccole’, di corto respiro, fragili, su cui domina un senso di incerto e malsicuro. La continua ricerca di novità per sfuggire alla noia, il rifiuto di qualsiasi progetto come mezzo per tenere viva la passione e l’eccitamento, l’aspirazione a vivere istante per istante, il piacere di “far casino”, l’aspirazione ad una vita piena che però si riduce al vagheggiamento di poter “prendere senza chiedere”.
La stessa conclusione finisce per attestarsi su questa linea, con in più un sentore vagamente new age. Nelle ultime pagine la protagonista riconosce che l’unica via per la pace interiore è smettere di desiderare, lasciarsi portare del flusso delle cose senza cercare una direzione, abbandonare una ricerca affannosa che è comunque inane. Sono precetti non del tutto sconosciuti ai giorni nostri poiché l’idea di “lasciarsi attraversare dalla vita” o il concetto taoista di Wu wei (agire senza agire, agire tramite la non azione) sono stati coscienziosamente popolarizzati da ambienti vicini alla cultura orientale.

Da un punto vista europeo, piace tuttavia osservare che le battaglie civili di cui Germana va giustamente orgogliosa presuppongono il desiderio di non subire passivamente una situazione bensì di mutarla in forme più umane, mentre l’autentico progresso è stato opera di uomini e donne che hanno consapevolmente deciso di indirizzare le proprie energie in una precisa direzione piuttosto che verso nessuna in particolare. Difficile quindi non sperimentare qualcosa di oscuro nel seguire le vicende personali di una donna che viene presentata come imbevuta di femminismo e forgiata da anni lotte per la parità dei sessi salvo poi imbattersi in un dialogo come quel che segue:


- Dimmi che sei la mia schiava -, Lei dice di sì. – E non abbiamo ancora scopato, - dice lui.

Vuote chiacchiere, si potrebbe dire. Ma le parole non sono neutri giochi linguistici da valutare in astratto, sono pur sempre i segni delle nostre idee. Nella conclusione non si percepisce quindi il sereno incamminarsi verso una quieta felicità, piuttosto un senso di resa, una nave disancorata che si perde alla deriva, con un messaggio di fondo avvilente e scoraggiante. Resta addosso un vischioso senso di sconfitta, l’imbarazzo nel constatare la fragilità e la fallibilità di ogni aspirazione umana che aspiri ad essere autentica e ben fondata, specie quando ci viene messa davanti agli occhi l’attitudine ad arrenderci senza condizione ai nostri fantasmi. “Il tango” – ci viene ricordato fin dalle prime pagine – “è una nostalgia che si balla, è un anticipo di infelicità prima che arrivi la depressione. Quella pesa”.

Si è quindi di fronte ad una scelta. Interpretare il romanzo con leggerezza, ironia e distacco, come una demistificazione giullaresca che non va presa mai troppo sul serio - suggestione inevitabile data l’immagine di irriverente guastafeste che l’autrice si è costruita nel corso degli anni - e tutto questo a tacere della stessa copertina, che fa il verso in modo allegro e scanzonato ai più truci cliché del genere. L’alternativa è leggerlo come una rielaborazione di desideri, comportamenti e fatti che esistono nella realtà di tutti i giorni indipendentemente dalla trasposizione letteraria che ne ha fatto l’autrice.
Nel primo caso non si arriva molto lontano. Se il libro è capace di fornire al lettore l’intrattenimento che egli cerca, allora esso è automaticamente un buon libro, a prescindere dall’esistenza o meno di un epilogo consolatorio, dall’adesione o meno del lettore ai comportamenti rappresentati o di qualsiasi forma di giudizio. Se invece l’aspettativa rimane delusa si tratta solo di modesta letteratura, senza necessità di altra e più profonda valutazione. Uno svago dunque perfettamente legittimo, esattamente come io posso trovare gradevoli le situazioni tipiche di un film d‘azione in quanto tali, senza che provi il desiderio di emularle o di condividerne le spinte profonde, ad esempio appiattendomi fra i cespugli con la bandana di Rambo in fronte o conservando in casa un piccolo arsenale (rassicuratevi: non faccio né l’una né l’altra cosa).
Nel secondo l’interpretazione si fa più stimolante, poiché la sfida è proprio quella di trovare un possibile nesso fra il tango e le varie situazioni narrate. Il compito non sembra facile. La danza in quanto tale occupa infatti una solo manciata di pagine in tutto il romanzo, mentre nella parte rimanente del testo essa è solo uno sfondo piuttosto convenzionale, poco più che un espediente narrativo per mettere in scena un certo numero di personaggi e soprattutto le loro relazioni. Verrebbe da liquidarlo come una modesta operazione di marketing, uno dei tanti casi in cui il ballo rioplatense è utilizzato a sproposito così da rendere appetibili contenuti che altrimenti avrebbero una presa ben modesta.
Perché dunque i protagonisti del romanzo agiscono in questo specifico ambiente e non nella cornice di un corso di Pilates, tanto per citare qualcosa di ugualmente alla moda?

Una delle possibili risposte a questa domanda chiama in causa l’influente sociologo polacco Zygmunt Barman (Poznań, 1925). L’incertezza che caratterizza il presente, il disfacimento dei legami tra gli individui, le nuove e inedite forme estreme di individualismo, l’affermarsi di un tipo umano afflitto dalla solitudine, egoista o addirittura narcisista, lo stordimento di uomini e donne che si scoprono dilaniati tra il nulla offerto dall’esterno e lo svuotamento interiore sono fenomeni spiegati con le metafore di liquido e solido. Il concetto di liquido, in particolare è stato applicato a vari aspetti della collettività umana tra i quali, caso per noi più interessante, i rapporti fra le persone (Liquid Love: On the Frailty of Human Bonds, 2003; trad. it. Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, 2005).
Non riporto qui la brillante e persuasiva analisi delle cause del fenomeno, invitando chi legge a procurarsi l’affascinante saggio nella bella edizione Laterza. Mi concentrerò invece su un aspetto in particolare. Come il liquido non ha consistenza propria, prende la forma del recipiente che lo contiene e si caratterizza per essere tanto mobile quanto inafferrabile, così le relazioni tratteggiate da Baumann sono mutevoli, instabili e ostinatamente refrattarie ad una durevole gratificazione.
La più desiderabile forma di relazione uomo donna, sempre secondo l’autore, è un rapporto basato su un coinvolgimento sì intenso ma volutamente poco profondo, in cui viene esclusa a priori qualsiasi forma di legame affettivo durevole o di progetto condiviso, una sorta di investimento a ritorno immediato, destinato per giunta ad essere liberamente revocato non appena uno dei due non sperimenti più la stessa soddisfazione oppure si profili un partner più appetibile con cui meglio soddisfare un’ansia di varietà e di novità che si rinnova sempre.
Ricorda qualcosa? Per non avesse trovato la risposta da sé, lascio la parola ad una voce non sospetta di partigianeria, quella di Elisa Guzzo Vaccarino (Il tango, Palermo, L’Epos, 2010):
[…] non si può dimenticare quante tensioni abitino il salòn dove ci si ritrova per l’avventura di una notte di tango dagli esiti sempre imprevedibili. […] nel caso di chi arriva singolarmente al ballo, la tensione femminile nel competere per ottenere l’invito più gradito ed evitare quello sgradito, la tensione maschile per evitare passi falsi nell’invitare le donne in attesa e per competere con gli altri uomini in bravura e/o nel garantirsi le migliori ballerine o le partner più desiderate e appariscenti (pp. 61).

C’è, ad ogni modo, un elemento che colpisce, tornando concretamente al ruolo e all’atteggiamento maschile a milonga: le lunghe attese, su un lato della sala, in piedi o seduti per visionare la sala, esaminare lo donne e la loro qualità. Un attesa che può essere inquieta, nella speranza di trovare qualcuno già noto o di trovare la magia del tango nella rivelazione di una partner ancora da scoprire – il che però comporta grandi esitazioni – o nella delusione preventiva di non avvistare niente di tutto questo e nel timore, inoltre, di essere respinto da chi potrebbe essere interessante. Si innesca un meccanismo di coazione a ripetere quest’esperienza, nel principiante per farsi animo, nell’esperto per selezionare, che all’occhio esterno manda sensazioni di eterna insoddisfazione, desiderio frustrato e inguaribile. Pari a quello delle donne, sedute in attesa, le quali aspettano un cenno di invito e non lo ricevono perché sconosciute, senza compagno o un gruppo di amici che permetta loro di mostrare ciò che sanno fare, o perché troppo brave, troppo riservavate e così via (pp. 158-159).

Questa potrebbe essere una possibile e forse inedita via per capire come mai il tango abbia tanta facile presa nella società contemporanea. Per l’indiscussa qualità estetica e l’evidente valore di una tradizione illustre, direbbero i sostenitori allineati su posizioni tradizionali, per il piacere di riappropriarsi di netti ruoli maschili e femminili, afferma ad esempio un’interpretazione di taglio più sociologico, oppure perché i meccanismi relazionali che si sviluppano a milonga convengono inconsapevolmente verso il modello teorizzato dall’insigne sociologo, quindi trovano un terreno fertile su cui crescere e persone pronte ad accoglierli. La pratica sociale del tango dunque, nascerebbe moderna prima della modernità e sarebbe liquida senza sapere di esserlo.
Da questo punto di vista il libro acquista una luce tutta diversa e sembra davvero di leggere una rassegna dell’inconsistenza eletta a sistema. Coniugati che tradiscono per sfuggire alla noia del menage, si trovano un amante il quale a sua volta si trova una terza donna così da poter manipolare la seconda facendo leva sui suoi sentimenti. Comportamenti presentati come moderni ed eccitanti, senza che nessuno noti il sottile senso del ridicolo di donne prossime alla menopausa che si atteggiano ad adolescenti. Meschinità spacciate per astuzie, piccinerie vendute per raffinate arti seduttive, il tutto svuotato di ogni significato e valore e ridotto ad una specie di passatempo ozioso per ingannare il tempo e scappare da qualcosa.

*   *   *

Non è affatto raro trovare nei testi del tango la disperazione, la tristezza, il rimpianto per la perdita di qualcosa ormai irraggiungibile oppure la disillusione esistenziale. Discepolo, fra i tanti, ne ha dato esempi conosciutissimi. Qualcosa del genere circola anche nel romanzo, ma in forme vagamente postmoderne che sarei tentato di battezzare come “l’irrilevanza del bene”. Poiché la felicità non esiste è del tutto inutile cercarla; quindi meglio arraffare velocemente quel che c’è sotto mano sperando di trovare una gratificazione bastevole.
Nel romanzo la norma si declina grossomodo così. La persona giusta e la relazione felice non esistono. Mettersi in testa di cercarle è solo una pericolosa illusione da cui occorre liberarsi fin che si è in tempo, magari andando proprio a ballare.
Provi il lettore a prendere le esperienze narrate nel libro sotto l’etichetta di tango e ad accostarla ad una qualunque delle autentiche miserie che affliggono il mondo, oppure a metterle accanto ad un proposito realmente altruistico che ciascuno di noi può facilmente sperimentare nella vita di ogni giorno: donare sangue, ripulire un pezzetto di bosco o anche solo adoperarsi per rimediare al male fatto. Il contrasto insostenibile rivela la natura ambigua di tutte quelle operazioni che confondono la realtà con i suoi simulacri e i suoi travestimenti. Sarà un caso, ma le uniche pagine dove si coglie una sincera partecipazione sono due brevi passi, slegati dal contesto, in cui si tratteggia il lento scivolare di un anziano nelle nebbie delle demenza senile, ovvero una vicenda del tutto estranea all’argomento principale.

Conosco l’obiezione. Le cose stanno così, non si può fermare l’evoluzione della società, inutile armarsi per una battaglia di retroguardia persa in partenza, meglio adattarsi di buon grado a ciò che è comunque ineliminabile. Peccato che “le cose stanno così” sia stata la risposta tipica a chi faceva notare come non sia saggio lavare le cisterne delle petroliere in mare, trattare le gestanti con il Talidomide oppure ostacolare l’uso di energie rinnovabili.


Non accadeva nel Medioevo, solo una o due generazione fa. Inoltre le stesse idee che apparivano allora come oltraggiosamente utopistiche sono ora integrate non solo nel sentire comune ma persino nel diritto.
Butto là come provocazione, ma chi mi garantisce che fra qualche decennio la più solleticante delle trasgressioni non sarà un creativo sadomaso tedesco, bensì sperimentare la semplicità degli affetti in quanto tale, senza paludarli con inutili costruzioni mentali? Oppure non aver bisogno di un’elaborazione di cultura, di un fulcro esterno che troviamo bello e pronto al momento giusto, per imparare a vivere con gioia pulita quel che si potrebbe già trovare in noi stessi?
I miei mezzi sono modesti e imperfetti, quindi ognuno si dia la risposta che preferisce, tendendo ben presente che per ogni persona che stigmatizza la modernità liquida come un sottoprodotto disumano del progresso, apportatore di solitudini e sofferenze, ce ne sono altrettante pronte a celebrarla come un’eccitante liberazione dello spirito che promette piaceri ed emozioni da gustare con leggerezza, senza eccessive preoccupazioni. Pare che almeno in questo caso la più incisiva metafora per definire il tango sia quella di un albergo senza arredamento: ciò che una persona vi trova entrando è solo quello che ha portato con sé.

*   *   *

È mattina presto. Un treno risale la pianura padana facendo rintronare i ponti di ferro sul Po mentre scivolano via gli ultimi banchi di nebbia di aprile. A bordo c’è un giovane diretto ad un funerale. Dovrà prima incontrarsi con una madre di famiglia, la quale per lunghi anni ha avuto una ribollente relazione con un uomo sposato con figli, relazione che entrambi hanno nascosto alle rispettive famiglie con acrobatici sotterfugi. Incontri rubati, gioie fuggevoli, per tutti e due l’ambita fuga da relazioni ormai appannate che non hanno più lo stesso smalto dei primi anni di matrimonio.
Poiché egli è uno dei pochissimi che conosce entrambi e sa tutti i dettagli della loro relazione, ha scelto di accompagnare lei in chiesa per l’ultimo saluto. Mentre il celebrante ricorda la promessa evangelica della riunione in cielo ed al pulpito si avvicendano amici e parenti per testimoniare le virtù domestiche dello scomparso, la donna piange silenziosamente sulla sua spalla, nella penombra di un angolo odoroso di polvere e di legno vecchio.
Hai già scorso il romanzo e ti stai chiedendo a che pagina compaia quest’episodio? Posa il libro, lettore, perché non lo troverai. Quel giovane sono io e nella cassa c’era un amico consumato dalle metastasi. E in tutto quello che sentii quel giorno di inizio primavera non c’era nulla di trendy.

Solo un angosciante vuoto.


Cos’è piaciuto

- Raffigurazione molto vivida di certi aspetti della società attuale.

Con non è piaciuto

- Ennesima ripetizione di un’idea ormai troppo sfruttata;  
- Un’ambiguità di fondo, spesso contraddittoria, fra la pratica sociale della danza e le tante storture umane.

Il giudizio in una riga: Scrittrice per caso.

La frase da ricordare: “- Dimmi che sei la mia schiava -, Lei dice di sì. – E non abbiamo ancora scopato, - dice lui”.

Scheda: Tango inesorabile : una quasicinquantenne alle prese con la passione amorosa / Syusy Blady - Torino : Einaudi, 2004 - 172 p. ; 21 cm ISBN 88-06-16941-6 Euro 10,80





6 commenti:

  1. BELAMY e' ilromanzo che hairichiamato alla mente specialmente nelle tue ultime righe.lessi BELAMY moltissimi anni fa' l autore fu guy de maupassant . ora belaMY e' diventatoun film coninterpreti d'eccezione: uma thurman cristinaricc christine scott thomas e infine robert pattinson nei perfetti panni di BEL AMY IS CHARM WILL OPEN DOORS AND STEAL HEARTS iteill bring him CLOSER TO THE ULTIMATE PRIZE! da leggere e.. davedere!@@

    RispondiElimina
  2. RAMBO e' stato l'eroe dimio padre scherzi??era un irresistibile boiata ..come per me e' la saga twilight che locations: e' stato girato tra phoenix arizona lostato diwashington jacksonville .nella terza parte anche in brasile dove tutt e' natura allo stato puro strapiombi su laghi ghiacciati ed altissimi alberi .ottime suggestioni e si cade inebriate tra le braccia dei vampiri se esistiti furono esseri sensualissimi ed intriganti con sopracciglia irsute capelli d istrice e labbra rosse

    RispondiElimina
  3. ed aggiungerei le mademoiselles macabrettes sono molteplici non sono schiavizzate per nessuna ragione aniente ..e nonhanno paura dei vampiri e dei tuoni ne dei rambomotociclisti !!! un bcc bcc bcc per queste feste!!

    RispondiElimina
  4. Caro dottore, sarebbe molto interessante se il libro lo scrivesse lei, con tutto il suo intuito e la sua sensibilità, e magari la recensione la facessino fare alla Bloody Blady.

    Ofelia

    RispondiElimina
  5. @Ofelia: Quando faccio recensioni intelligenti di libri mediocri me la spasso come un matto e chi legge ne guadagna pur sempre qualcosa. Se invece facessi un libro intelligente accolto da recensioni mediocri chi si divertirebbe più?

    RispondiElimina
  6. Interessantissimo commento a un libro che no ho letto e non leggeró. Sono bolognese ma abito in Argentina da molti anni. Anni fa, a Bologna, ho assistito alla presentazione nella Librería Feltrinelli del libro qui recensito. Mi colpí la stupiditá di una donna della mia etá, femminista della prima ora come me, che pareva non aver elaborato molto e spudoratamente metteva in mostra la ricerca del nulla, usando una stereotipo, il tango. Alla fine della sua presentazione balló efettivamente un breve tango con il suo (suppongo) amor argentino tanguero. Conosco e non mi stupisce la seduzione delle idee, siano quelle che siano. Del resto c'é molto auto inganno fantasioso nell'amore (o nell'innamoramento). Capisco l'autrice quando si sente eccitata da Buenos Aires, paese esotico, con altri codici, che peró sono solo piú vecchi e piú frusti. Se é vero che nell'amore "bisogna lasciarsi andare" é anche certo che il rischio c'é ed é grosso. Il risultato purtroppo dipende dal grado di forza interiore che si ha. Sennó la agognata libertá di scelta si trasforma in un percorso nel fango, in un "manotazo de ahogado" come si dice in Argentina. Del resto l'dea romantica dell'amore é moderna, prima non esisteva! L'umanitá ha vissuto secoli senza averne il sentore e senza credere che quella fosse la normalitá. Per concludere: sono poche purtroppo le persone che possono permettersi di prendere e far uso della passione senza scottarsi anche clamorosamente. Di esempi é piena la vita e la letteratura (che é un'altra forma di vita...). Luciana

    RispondiElimina