venerdì 26 agosto 2011

Amore tango, di Maria Finn

Maria scopre per caso la relazione adulterina del marito ed è travolta dal cataclisma emotivo del divorzio, reso ancora più grave dalla mancanza di un solido lavoro. Schiacciata dalla sensazione del proprio completo fallimento esistenziale, si iscriverà ad un corso di tango: le nuove esperienze la accompagneranno in un percorso di guarigione interiore che le permetterà di riacquistare la serenità perduta e di realizzarsi professionalmente.

Fine della trama.

Alzi la mano chi ha avuto la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di noto. Il motivo di questo insospettabile déjà-vu è stato spiegato da Vladimir Jakovlevič Propp (San Pietroburgo, 1895 - Leningrado, 1970) insigne linguista e antropologo. Propp studiò una grande quantità di materiale folklorico arrivando alla sorprendente conclusione che fiabe diverse, qualunque sia la loro specifica forma esteriore, nascondono un’identica struttura poiché esse rispondono alle medesime istanze profonde dello spirito umano. Egli definì quindi una serie di funzioni, ovvero altrettante situazioni tipiche nello svolgimento della trama, permettendo così di evidenziare sorprendenti affinità anche in materiale appartenente a contesti assai diversi. Semplificando al massimo il complesso schema dello studioso russo, gli elementi essenziali si riducono ad uno schema facilmente identificabile. Un Evento improvviso turba l’Ordine stabilito e l’Eroe si trova privato di qualcosa di essenziale, ad esempio la ricchezza, la salute, lo status sociale, il potere oppure gli affetti. Iniziano così delle Peripezie per ritornare alla situazione iniziale, ma il proposito è reso difficile da uno o più Antagonisti che ostacolano l’Eroe con la forza, l’astuzia o la dissimulazione. Ma un Dono magico offerto da un generoso Aiutante gli permetterà di affrontare una serie di difficili Prove, da cui uscirà trionfatore. L’ordine iniziale viene quindi ripristinato, gli Antagonisti vengono meritatamente puniti mentre l’Eroe conquista finalmente l’ambito bene (... e tutti vissero felici e contenti).
La cosa, sorprendentemente, funziona altrettanto bene tra i pastori uzbechi o tra la disincantata e cosmopolita middle-class newyorkese. La protagonista del romanzo si ritrova infatti da un giorno all’altro priva di beni primari quali la serenità, l’amore e la realizzazione del proprio progetto di vita. Ma il desiderio di ritrovarli è ostinatamente frustrato da una serie di ostacoli imprevisti. Uomini attraenti, educati e socievoli si rivelano essere omosessuali, potenziali nuovi partner rivelano un’insospettabile natura ambigua, oppure nascondono una psiche fragile e tormentata quanto la sua. Le pratiche del divorzio vanno per le lunghe e la stessa famiglia di origine le fa pesare la sua involontaria situazione. Ma insegnanti di talento e disinteressati milongheri di lungo corso le doneranno l’agognata guarigione grazie ai segreti di un tango ballato con intensità e trasporto (ma non saranno piuttosto le virtù terapeutiche delle adorate Comme il Faut?) finche la timorosa e impacciata neofita si trasforma nella leona sicura di sé che aveva desiderato diventare fin dall’inizio del suo noviziato.
L’ex marito viene punito con l’espulsione delle sue cose dall’appartamento comune, in una sorta di simbolica morte in effige, mentre la riguadagnata serenità permette alla nostra eroina di trovarsi di fronte a uomini finalmente degni di fiducia e di intraprendere con successo una nuova professione.

Perché dunque un volume dalla struttura narrativa così prevedibile ha avuto un tale evidente successo, testimoniato fra l’altro dalle numerosi recensioni in rete, perlopiù improntate ad uno scoperto entusiasmo? Il motivo è semplice. Gli esseri umani di tutte le età e di tutti i paesi vanno alla ricerca dello stesso messaggio confortante: il male può essere vinto. Dunque nessun dolore sarà infinito e pertanto il riscatto è sempre possibile.
Se poi tale obiettivo non necessita di maceranti pratiche interiori bensì di una gradevole e non troppo impegnativa attività sociale, allora tanto meglio. Maria Finn evita infatti attentamente il rischio di scivolare verso il famigerato diario intimo, la compiaciuta descrizione dei propri sentimenti ed emozioni. Pratica che ha provati effetti consolatori e terapeutici per chi scrive ma risulta notoriamente indigesta al lettore medio, a meno che si riferisca ad una personalità d’eccezione e sia affidata ad una penna di sommo talento.
Il libro, scandito in capitoli dal nome di altrettante figure, procede invece in modo fresco e spigliato, con guizzi di divertente arguzia che ricordano spesso il ritmo brillante delle migliori situation comedy. Sono situazioni capaci di strappare più di qualche volta un divertito sorriso, ad esempio quando la protagonista si abbandona alle proprie fantasie consolatorie e scopre con disappunto quanto diversa sia l’immaginazione dal mondo reale: “cercai di concentrarmi sulla fantasticheria ricorrente: con il vestito verde smeraldo attraversavo un atrio per buttarmi tra le braccia di un uomo stupendo. Purtroppo le uniche persone che mi vennero in mente erano vecchietti vestiti da ruffiani […]”
Sono tocchi sparsi nel libro con misura e buon gusto, che ravvivano la lettura in modo spontaneo e divertente. Nelle pagine iniziali Maria si misura ad esempio con il problema tipico della tanguera principiante, ovvero riuscire a padroneggiare l’infido linguaggio del corpo per ottenere l’agognato invito di un partner di proprio gradimento: “qual è il gesto per dire 'Vorrei essere invitata a ballare da un uomo di livello intermedio che non abbia un cattivo odore?' ”
Molto gradevoli sono le descrizioni di alcuni momenti ricorrenti, in cui è senza dubbio facile riconoscersi e identificarsi: il fascino suscitato dal veder ballare per la prima volta il tango dal vivo e il repentino desiderio di appropriarsi a tutti i costi di quella misteriosa armonia di movimento; la sensazione di sollievo dopo essere bene o male sopravvissute alle prime milongas; l’invidia per la naturalezza sfoggiata dai più preparati; l’infatuazione per un movimento particolare o infine la mesta rvelazione di quanto siano sconsolatamente distanti l’immagine interiore di sé e il livello reale dei propri talenti.
Non meno gustosa la surreale galleria di tipi umani che la protagonista incontra sulla sua strada. Sono macchiette rese con gusto assai felice, in cui è facile individuare personaggi reali o addirittura riconoscere noi stessi: l’esibizionista innamorato di sé, il buon samaritano che balla con chiunque, lo pseudo-maestro (per solito mediocre ballerino) che affligge le ballerine con le più inflessibili reprimende sulle loro capacità o infine il seduttore di turno.
Passi che possono essere letti con grande soddisfazione da un pubblico femminile, per la vivezza con cui sono tratteggiate una serie di esperienze ricorrenti, ma risultano ugualmente raccomandabili ad una platea di maschi. Comprendere qualcosa della psicologia e della sensibilità che caratterizza l’altra metà del cielo non può che far bene, magari contribuendo a smussare qualche lato un po’spigoloso.

Su un piano più profondo, il libro descrive in modo assai ben riuscito la netta contrapposizione tra un mondo spiccatamente competitivo, dove la gente ambisce a primeggiare anche negli svaghi, e il nido tutto sommato rassicurante della scena tanguera, in cui empatia e condivisione danno vita ad una specie di comunità umana trasversale, fatta da persone di diversi ceti,  le quali altrimenti sarebbero rimaste separate da invisibili barriere sociali: “L’uomo medio che impara a ballare ha paura della gente bella; ciò che cerca è solidarietà e comprensione, non una fisicità prorompente”.   
Infatti l’affermazione sociale genera l’invidia, mentre l’invidia - a sua volta - è un sentimento che allontana le persone. L’accettazione della propria fragilità e il riconoscimento reciproco dei propri fallimenti possono invece diffondere un senso di calda umanità e di condivisione. Il tango, dunque, “si alimenta del dramma e della sofferenza, ci dice che il fallimento ci fa sentire vicini molto più del successo”. Gli conferisce, insomma, un respiro universale, il che si accorda molto bene con la finezza di certe notazioni psicologiche inserite dall’autrice. Un esempio molto delicato è l’amara constatazione di trovarsi ancora al punto partenza nonostante il tempo passato e il dolore che si porta dentro di sé, e questo proprio nella fase della vita in cui si dovrebbero finalmente vedere i meritati frutti del proprio impegno. Parlando di se stessa e di altre donne ormai non più giovanisisime, la protagonista nota sconsoltamente che “eravamo come pesci vecchi, che portano su di sé i segni di ami e graffi e ancora nuotano in cerchio nel laghetto del parco”.

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Some dance to remember, some dance to forget” cantavano gli Eagles in Hotel California a significare la molteplicità di esperienze - anche opposte - che possono intrecciarsi alla pratica del ballo. Forzando un po’ i significati, Maria fa grossomodo entrambe le cose allo stesso tempo: imparare a ballare significa dimenticare il dolore del passato e i due itinerari procedono di pari passo, proprio come un sentiero che sale può intersecarne uno che scende. 
Il percorso delineato è quindi una specie di tango-terapia. Va da sé che la danza produce effetti positivi sulla persona nel suo complesso, ma l’idea di influire su uno stato interiore lavorando con il corpo non è certo esclusiva del ballo rioplatense, bensì viene condivisa da tutte le pratiche olistiche, dal training autogeno allo ioga. Semplice marketing del tango dunque?
Com’è noto, il marketing non è un documento oggettivo, bensì una rappresentazione culturale della realtà: nelle forme più raffinate non parla mai delle caratteristiche del prodotto e neppure dei vantaggi che esso può offrire, ma ci presenta semmai un appetibile sogno coerente con la nostra visione del mondo, una favola che facciamo nostra e che diffondiamo nel nostro ambiente. Viene qui il sospetto che il libro proponga nulla di più di quanto i consumatori bramino: dipingere i contorni del loro sogno e indicare la porta dorata per accedervi.
Se ciò non si è ancora realizzato - sembra dirci Maria Finn fra le righe - il destino è sempre pronto a offrire qualcosa di meglio, non importa quanto tu abbia perso o quanto i tuoi sogni non si siano ancora realizzati. Hai perso l’amore della tua vita e sei a diguazzare in una palude di dolore? Niente paura: fa’ le mosse giuste e là fuori ci sono meravigliose opportunità da cogliere, le quali di certo non ti faranno rimpiangere ciò che hai perduto. Il tuo lavoro non ti soddisfa e ti vincola eternamente al bisogno? Basta avere lo spirito adatto, e in poco tempo prosperità economica e gratificazione personale arriveranno trotterellando a braccetto.

Se poi la vita assomigli davvero a tutto ciò sembra perlomeno lecito domandarselo.

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Nel testo circola con insistenza un aspetto senza dubbio familiare, ovvero la centralità assoluta  dell’abbraccio nella pratica del ballo. Il titolo originale reca non a caso l’intraducibile dizione “Hold Me Tight & Tango Me Home. A Cheek-to-Cheek Adventure ”, con quell’ “Hold Me” che vale qualcosa più di “abbracciami”, e si rende semmai con il più deciso “stringimi”.
La protagonista afferma esplicitamente che l’impulso a frequentare la milonga è tanto forte proprio perché il tango rappresenta un ottimo strumento per stare con qualcuno senza aspettarsi nulla, un modo per trovare un equilibrio con un’altra persona anche se questa non è il compagno o la compagna della propria vita, la persona che si ama. Dunque la strada per una gratificazione immediata a breve termine, un coinvolgimento intenso benché superficiale, senza il rischio di penosi drammi interiori e inutili complicazioni sentimentali. “Sono totalmente contraria a qualsiasi forma di innamoramento, a meno che non duri tre minuti e includa degli Ochos“ risponde recisa Maria ad un’amica che gli appena confidato la sua tenera visione dell’amore romantico.

In quest’idea c’è contemporaneamente un fattore condivisibile e qualche elemento che si presta a discussione.
Non c’è alcun dubbio che il tatto sia la prima forma di comunicazione interpersonale che ognuno di noi sperimenta appena vede la luce ed inizia a fare esperienza del mondo. Le carezze, il contatto del tronco e degli arti, il bacio, il massaggio sono le primissime attenzioni che riceviamo dal genitore, tanto che la psicologia riconosce questi gesti come gli atti essenziali per la formazione del legame fra madre e neonato, come per la successiva crescita del bambino.
Difficile quindi sottrarsi al piacere reciproco di abbracciare e di essere abbracciati, anche a prescindere da qualsiasi intento seduttivo. Ciò è particolarmente vero nella società odierna, dove tutto tende a sfumare nelle solitudini tecnologiche dell’immateriale, dove anzi la maggior parte dei contatti avvengono tramite linguaggi altamente strutturati come la scrittura e la parola, di certo culturalmente più ricchi ma anche meno istintivi e naturali. Un insieme di leggi scritte e di codici di comportamento informali risospingono anzi la prossimità dei corpi verso ambiti molto ben delimitati: trasgredire anche involontariamente da queste norme significa avventurarsi in un campo insidioso.
Ogni frequentatore di milongas ha infatti provato almeno una volta il fascino di un abbraccio pulito,  dunque remunerativo e vivificante, proprio perché depurato da qualsiasi connotazione boccaccesca. D’altro canto non è esattamente chiaro se questo piacere sia desiderabile in quanto tale, come forma autonoma di esperienza gradevole, oppure se invece sia l’imperfetto surrogato di qualcosa che non si possiede, vuoi perché irraggiungibile, vuoi perché presuppone un prezzo che in definitiva non si è disposti a pagare.
La protagonista pare seguire la seconda via. Nel testo echeggiano sottili paralleli fra la carnalità dell’ex marito e le morbide, protettive sensazioni trasmesse dai ballerini più capaci, ma l’itinerario dentro il tango non accompagna Maria verso una nuova relazione che riscatti la precedente. Proprio quando il suo percorso interiore si avvia felicemente alla conclusione, le sue ritrovate energie non vengono investite in un altro rapporto bensì nella carriera di progettista di spazi verdi. Anche quando finalmente entra in scena un uomo capace di una figura dignitosa costui rimane in una defilata posizione di comprimario, mentre il futuro sentimentale della protagonista viene lasciato indeterminato.

Il libro si può dunque anche leggere come lo specchio delle contraddizioni che tormentano l’attuale società postmoderna. Nel testo infatti vengono celebrate - ma soprattutto presentate come irrinunciabili - una lunga serie di carezzevoli premure che sono dovute prima di tutto a se stessi: sentirsi bene nel proprio corpo, essere felici, vivere in una casa ben arredata, disporre in modo assoluto della propria libertà, gratificarsi con acquisti scopertamente autoconsolatori, mentre allo stesso tempo si stigmatizzano rapporti interpersonali fragili ed effimeri, eternamente mutevoli, talvolta sotto il segno del superficiale e del problematico. Tanto per restare in ambiente newyorkese, viene in mente la lapidaria battuta della benestante e modaiola Samantha Jones in Sex and the City: “Se sei single il mondo è il tuo buffet personale” e non sarà forse un caso se una voce piuttosto isolata abbia stroncato il lavoro della Finn come un'opera che celebra “the pathetic 30-something, narcissistic generation”.

Sia chiaro, viviamo in una società aperta. Entro il triplice confine definito dalla legge, dal libero consenso e dall’assenza di danno inflitto ad altri, non esiste comportamento che sia a priori corretto, al confronto del quale tutti gli altri possono essere etichettati come devianti. La scelta delle protagonista è altrettanto legittima quanto qualsiasi altra, ma l’avvenuta guarigione interiore ha il sapore di una metamorfosi riuscita per metà. La trasfigurazione non distacca Maria da un temporaneo oggetto d’amore sostitutivo a favore di uno ben più solido e reale, ciò sulla base di un realistico principio di vita secondo il quale la piena realizzazione di un individuo si compie assieme e per altri esseri umani.
Il tutto parrebbe quasi dar ragione a due dei più vischiosi luoghi comuni. L’idea che solo un’infima minoranza di persone sia attratta dalla danza in quanto tale mentre i più smaliziati sfruttano il tango solo come semplice preludio ad altri e più orizzontali convegni; oppure la convinzione che la pratica sociale del ballo si riduca ad un rituale collettivo di natura essenzialmente consolatoria, un gioco di specchi e di travestimenti a buon mercato, offerto ad un’umanità dolente ansiosa di poter nascondersi per qualche ora dietro un’identità fittizia più gratificante e per questo più tollerabile.

Ma giocare con le maschere è di solito poco appagante, fuorché a carnevale. Nel libro di Maria Finn - come a volte nella vita - il nodo centrale dell’esistenza sfugge perennemente fra le mani.

Cos’è piaciuto:
  • Felice descrizione di ambienti e situazioni;
  • Fine sensibilità psicologica al femminile;
  • Positivo messaggio di speranza.
Cosa non è piaciuto:
  •  Un ottimismo un po’ stilizzato e qualche concessione a luoghi comuni.
Il giudizio in una riga: Fa l’effetto del brodo di pollo quando si è raffreddati. Riconforta, scalda e lascia un buon sapore in bocca. Ma se vi rompete la gamba è meglio l’ortopedico.

La frase da ricordare: “Il tango è un modo di imparare attraverso il corpo, di trasferire il dolore nella carne, nella sua memoria, e di tradurla in qualcosa d’altro, qualcosa di più nobile”

Scheda: Amore tango / Maria Finn - Novara : De Agostini, 2010 - 286 p. ; 21 cm. - Traduzione di Raffaella Asni. - ISBN 978-88-418-6000-7 Euro 18,00

2 commenti:

  1. io l' aquisterei .. se posso consiglio anche: TRAVELLING WITH POMEGRANATES SUE MONK KIDD "LA FONTE MERAVIGLIOSA" storia DI ROARK HOWARD DI AYN RAND .E "TANTO VALE VIVERE "DI DOROTHY PARKER

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  2. aggiungo ALMUDENA GRANDES "MALENA un nome da tango"... costa molto meno solo8eu,.nessuno è raffreddato inquesto romanzo delicatissimo ilclima è torrido cistanno donne aggressive ed arrabbiate con voglia di essere sedotte e sentirsi seduttive;)specie se siè vissute in mezzo ai..morti.

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